Bruno Sullo

In poco più di settant'anni l'arte ha attraversato, in una corsa sempre più affannosa, una grande serie di esperienze, bruciando in rapide fiammate di paglia intuizioni e proposte interessanti e, alcune, importanti.
Psicologi e sociologi possono ben spiegare il fenomeno con una serie di elementi che vanno dalla mercificazione delle idee all'automazione, dalla riproducibilità industriale delle opere d'arte alla rapida diffusione dell'informazione, e così via; ma la spiegabilità non è giustificabilità, e un fenomeno ben inquadrabile negli schemi funzionali della civiltà contemporanea non è detto che sia corretto e accettabile.
Nel caso specifico sono state scavalcate o banalizzate esperienze meritevoli di ben altro approfondimento ed elaborazione. Per esempio, l'Arte Informale. Favolosa e in fondo breve la stagione in cui si affermò come espressione della necessità di dar corpo e voce a quanto, nell'uomo, v'è di istintuale, non programmato, negato alla regola e al canone, ben al di là di qualunque concezione referenzialistica dell'arte. Dunque, arte "astratta" nell'accezione più ampia del termine, che rifiuta non solo l'icona ma la stessa figura; e, oltre a ciò, arte sintetica, tesa alla espressività assoluta, al trasferimento dell'intuizione nella traduzione visuale senza intermediazioni noetiche o progettuali; infine, arte che lascia spazio ampio alla casualità, o meglio alla libera invenzione, soltanto modulata e mai necessitata da una sorta di interna misteriosa armonia che procede dall'artista e si svolge con libera spontaneità nell'opera.
Se l'abbandono della funzione referenzialistica da parte dell'arte ha costituito un momento genuinamente rivoluzionario della cultura visiva contemporanea, all'interno di questa scelta la proposta informale, con la sua triplice articolazione (astrazione, sintesi, libera invenzione) ha portato un contributo che è stato giustamente definito fondamentale nello sviluppo della discussione artistica contemporanea. Ma è sufficiente questo riconoscimento? e la “storicizzazione” (che è quasi sempre inumazione) dell'Informale è giusta ed opportuna? è da considerare conclusa la sua funzione ed esaurito del tutto il suo messaggio ?
Sono interrogativi inquietanti, che possono introdurre un discorso sul lavoro di Enzo Neri.
La risposta dell'artista è decisa: v'è tutto un ambito di invenzione e di investigazione da percorrere, individuato dalle ipotesi operative che sono state alla base dell'Informale; un ambito di lavoro in cui è possibile, ancor oggi, riversare idee, personalità e originalità senza i rischi dell'epigonismo o del ripristino puramente archeologico; recuperare i temi dell'astrazione, della sintesi e della libera invenzione è un modo concreto di esprimere se stessi, al di fuori di riferimenti cronologici troppo ristretti o di collocazioni culturali rigide e condizionanti.
Dunque, Enzo Neri fa sua scelta e recupera, ma rielaborandoli, molti temi e problemi dell'arte informale.
All'interno, opera un'ulteriore selezione, che appare significativa e illuminante. Nell'alveo dell'arte Informale si possono individuare due linee principali di tendenze: una "segnica" più propriamente pittorica, l'altra indirizzata allo studio della materia e dei materiali (Burri, Tapies, ecc.) come mezzi non tradizionali eppure significativi di fare arte.
Enzo Neri fa una precisa scelta in favore della prima linea di ricerca, a conferma di una specificità del "dipingere" storicamente determinata e quindi intrinseca al "mestiere" di pittore.
Si tratta, presumibilmente, di un travaso di esperienze precedenti, già ben consolidate nella sua personalità, e di una certa influenza del Genius Loci, che condizionano questa scelta e sostengono un tentativo di integrazione tra vecchio e nuovo, tra mestiere e ricerca; la notazione vuol essere un riconoscimento di coerenza e di continuità, poiché non è così facile, in arte, né così opportuno, abbandonare in modo disinvolto la zampogna di Titiro per impugnare la spada di Enea.
Enzo Neri, quindi, si aggancia alla tradizione informale ancora viva e vitale, si rivolge al versante più propriamente pittorico di essa e conduce la sua battaglia linguistica con le armi che gli sono congeniali e consuete, quindi con buone chances di riuscita.
Forse è proprio questo dominio naturale dei mezzi espressivi che gli consente di intraprendere una revisione critica dei temi informali classici e di assumerli tutti in una visione unica e intensamente sintetica.
Nelle sue opere compaiono il segno denso e pregnante di Hartung, il "tachisme" di Mathieu, Wols e Michaux, le soluzioni complesse di De Kooning, i neri tormentati di Matta e Vedova, fino al gocciolamento intenso e creativo di Pollok e al grattamento lineare e ripetitivo di Scanavino. Segno, gesto, plaghe di colore, sfumature, tracce di asportazione, sovrapposizioni, tralucimenti e schizzature coesistono e si propongono come elementi in diverso rapporto tra loro, esponenti di un mondo infinitamente variabile interpretabile secondo infinite accezioni, pur nell'apparente continuità e perseveranza dell’impostazione di fondo.
Ma, oltre a ciò, una seconda caratteristica rende il lavoro di Enzo Neri autonomo e innovativo rispetto all'Informale classico, ed è la continua presenza dell'autore, che non rinuncia mai a esercitare un suo magistero, scaltrito e oculato, molto italiano, della misura del controllo dell'integrazione; un magistero che non è solo formale, ma interpretativo, e che permette di spostare i termini dell'operazione da una pericolosa posizione ripetitiva e restaurativa a un ipotesi di rinnovamento e di trasformazione adeguata alla personalità e alla cultura dell'autore. Una versione italiana di una problema più vasto che può essere una via di rifondazione (o almeno un tentativo in tal senso) degno di attenzione e anzi di rispetto.
In fondo, questo condurre in modo parallelo e plenario molti temi della cultura informale, fino a tentarne una sintesi largamente comprensiva, e questo esercizio di controllo critico sulla propria materia rappresentano per Enzo Neri il proprio personale campo d'azione, nel quale egli tenta di esaurire un compito arduo e ambizioso, tale da sfiorare l'hazard. Ma in quale campo, che non sia quello dell’arte, un tale atteggiamento può essere più naturale?